24 0ttore 2015
Il 24 Ottobre si è svolto il convegno dedicato a “fare memoria nello scautismo”, sulle orme del libro “L’ANIMA, IL FUOCO E LO SPIRITO DEL FALÒ”, scritto a più mani dagli scout degli anni ’50 e ’60 in ricordo delle loro avventure propedeutiche alla loro formazione giovanile, nella Milano città studi appena uscita dalle distruzioni della guerra e tesa alla ricostruzione fisica e morale.
Hanno partecipato i professori Ermanno Ripamonti, Duccio Demetrio, Gualtiero Zanolini, Dominique Benard e Don Roberto Davanzo, alternandosi nella esposizione delle loro relazioni sul tema dell’attivismo della pedagogia e della memoria.
Traccia delle loro relazioni sono qui riportate, insieme alle foto del convegno.
Presso chiesetta di San Giovanni Battista e Carlo al Fopponino all’interno del comprensorio parrocchiale San Francesco d’Assisi al Fopponino, all’angolo tra p.le Aquileia e via San Michele del Carso, in Milano.
di Prof. Ermanno RIPAMONTI, 24 Ottobre 2015.
Lo scautismo come esperienza privilegiata di formazione alla consuetudine con la natura e all’acquisizione di impegno per la salvaguardia dell’ambiente: un mito da sfatare.
In effetti la scelta della vita all’aperto e dell’ambiente naturale (i due termini non sono coestensivi) è stato uno dei motivi alla base dell’atteggiamento di sospetto nutrito dalla gerarchia cattolica nei confronti del movimento e del metodo. Basti ricordare le accuse di panteismo e naturalismo, che si aggiungevano ai sospetti per un movimento fondato da un protestante in odore di massoneria.
Ma è bene ricordare che, una volta superata l’iniziale diffidenza cattolica nei confronti del messaggio ambientalista, si è visto nello scautismo uno strumento per favorire l’accostamento a questa problematica da parte della comunità ecclesiale (cfr. Conferenza episcopale lombarda, La questione ambientale (aspetti etico-religiosi), Milano, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi religiosi), 1988).
La partecipazione, sollecitata da don Tonino Moroni, di una delegazione dello Stato Città del Vaticano alla Conferenza Intergovernativa sull’educazione ambientale di Tbilisi (1977) come pretesto per svolgere un’azione diplomatica
Le molte ragioni della diffidenza a lungo dimostrata dalla Chiesa nei confronti dell’ecologismo e la responsabilità attribuita da quest’ultimo alla religione giudeo-cristiana, in particolare al cristianesimo, nel quale l’antropocentrismo segna il suo culmine con un Dio che si fa uomo.
Le posizioni di frontiera dello scautismo anche in ambito ecclesiale (dall’anticipazione di molte acquisizioni del Concilio alle simpatie per Teilhard de Chardin).
Eppure anche lo scautismo ha recepito con un certo ritardo il messaggio ambientalista. In particolare quello italiano, tutto preso, all’epoca dell’esplosione della crisi ecologica, da tutt’altre questioni (Patto Associativo).
L’invito di don Moroni ai partecipanti alla Route di Bedonia delle comunità capi a passare dalla natura (intesa e vissuta romanticamente) all’ambiente e l’impegno dell’Agesci su questo fronte (incontri con gli addetti alla formazione capi e costituzione della Pattuglia Nazionale Ambiente in collaborazione col Centro Italiano di Educazione Ambientale dell’università di Parma).
L’intervento della PNA per monitorare l’impatto ambientale di campi e route nazionali e la messa a punto di un semplice strumento di valutazione di impatto ambientale da utilizzare nelle attività scout (il piccolo manuale di Chicco Calvo e Maddalena Zorzi).
Col tempo l’interesse è venuto scemando. La PNA e le pattuglie ambiente costituite a livello regionale sono state soppresse e le attività di educazione ambientale nello scautismo hanno di nuovo assunto un carattere estemporaneo e, per molti aspetti, scolastico).
In tal modo è venuta meno l’idea che aveva ispirato l’azione della PNA. Ossia che, per attuare un’educazione ambientale efficace nello scautismo, occorre che l’ambiente, inteso come vincolo alle attività scout, entri a far parte del grande gioco di simulazione che lo scautismo mette in atto e che, quindi, le tecniche specifiche di conoscenza e di intervento sull’ambiente assumano un ruolo tutt’altro che marginale.
Cruciale, a questo proposito, è la distinzione dell’ambiente natura come semplice sfondo o come fattore di educazione, ossia tra ruolo meramente passivo o attivo dell’ambiente naturale.
L’ambiente naturale è nello scautismo fonte di emozioni più che di conoscenze.
ABSTRACT / Ermanno
Fare memoria, solitamente, e anche dell’esperienza scout, è una forma di testimonianza e d’investimento culturale ed emozionale dinamico, se non si limita ad essere commemorazione, rimembranza nostalgica.
Nel nostro caso significa muoversi sul piano pedagogico, mediante la descrizione di esperienze educative, e sul piano esistenziale, raccontando esperienze di vita.
Lo Scautismo, infatti, è una proposta di educazione e di vita, con una positiva utopia o filosofia esistenziale e un’articolata metodologia pedagogica coeva, non solo storicamente, del movimento delle scuole nuove o scuole attive dei primi decenni del secolo scorso.
Significa muoversi (dal 1907, anno del primo campo scout sull’isola di Brownsea) con una positiva utopia e filosofia di vita, nella prospettiva di una proposta esistenziale in una cultura in cui è odiernamente penalizzata la memoria anche a breve termine, con uno scadimento diffuso dei processi di iniziazione alla propria civiltà, nel conformismo di opinioni acritiche, generando così la subcultura dello scarto e dei negazionismi.
Quindi fare memoria non è vuoto esibizionismo autoreferenziale e autocelebrativo, ai limiti di un feticismo esteriore, ma un modo di testimoniare il “trapasso delle nozioni” (come viene detto nel nostro Metodo) ovvero percorrere insieme alle generazioni che ci seguono anagraficamente un tratto della vita comune in un servizio educativo vicendevole.
di DOMINIQUE BENARD, 24 Ottobre 2015.
Segretario generale aggiunto del Bureau Mondiale
dell'Organizzazione Mondiale dello Scautismo,
educatore specializzato.
Il mio carissimo amico Ermanno mi ha chiesto di condividere con voi alcune idee sull’accoglienza e sul servizio, riferiti allo Scoutismo.
E’ la seconda volta che, grazie a lui, partecipo a un incontro di questo tipo con ex scout italiani. L’Italia fa parte di quei rari paesi dove lo Scoutismo è considerato non solo un movimento educativo, ma anche un’arte di vivere o persino una spiritualità.
Devo aggiungere che è certamente questo concetto d’accoglienza e di servizio che ci ha portati tutti e due qualche anno fa in Kenia per un memorabile seminario sullo Scautismo e i bambini di strada in cui è mancato poco che morissimo insieme a causa di… complicazioni di viaggio.
Mi sono dunque tuffato volentieri nei miei ricordi o piuttosto ho lanciato una specie di sciabica (=piccola rete a strascico) mentale nella mia memoria per vedere tutto ciò che avrei potuto recuperare, partendo da questi due concetti di accoglienza e di servizio.
L’apertura ai poveri è il tema dell’accoglienza che inizialmente è stato il più fruttuoso in questa mia pesca a sciabica mentale.
“L’accoglienza è una cerimonia o una prestazione riservata a un nuovo sopraggiunto, che consiste generalmente nel dargli il benvenuto e nell’aiutarlo nella sua integrazione o nelle varie fasi del suo percorso”, come si può leggere in Wikipedia, l’enciclopedia on line consultabile sul Web.
Questo termine mi riporta agli anni sessanta/settanta. Gli Scouts de France si erano allora impegnati, su impulso di Michel Rigal e della sua équipe, in un grande sforzo per accogliere i giovani handicappati, inizialmente solo handicappati fisici, poi anche mentali. Ranger, poi giovane capo e successivamente giovane componente dell’équipe nazionale degli Scouts de France, io stesso mi ero unito a questo sforzo collettivo.
L’”Extension” (=estensione), come la si definiva allora, cioè la sezione del movimento impegnata nell’accoglienza dei giovani portatori di handicap, raggruppava decine di migliaia di membri e avrebbe contribuito in modo significativo alla riforma dello scoutismo francese. Un’associazione, chiamata ANAE, “l’Associazione Nazionale degli Amici dell’Extension” – che esiste tutt’oggi, ma senza legami con lo Scoutismo – era stata creata per riunire i mezzi necessari in appoggio delle unità che accoglievano handicappati. Il Castello di Ruffey in Borgogna, una delle fortezze medievali riconvertita in centro di Scoutismo come tante altre in Francia, era stato acquistato dall’ANAE per essere il principale centro di formazione dei capi impegnati nell’Extension. Fu uno dei principali focolai della riforma profonda degli Scouts de France che si sarebbe affermata negli anni 65.
La principale convinzione che ci animava era che l’accoglienza dei più poveri, nello Scoutismo, come nella Chiesa, ci avrebbe dato la forza e l’energia per far nascere un nuovo mondo. Vivevamo veramente questa convinzione nei nostri incontri e nei nostri campi: l’accoglienza degli handicappati destabilizzava i nostri modelli mentali e le nostre tradizioni scout, ci faceva riscoprire le radici del metodo scout: la cooperazione giovani-adulti, il gioco, l’educazione attraverso l’azione, la scoperta delle competenze per la vita, lo stimolo ad una spiritualità radicata nel concreto.
Eravamo accompagnati in questo nostro cammino da alcuni preti della Missione di Francia, un seminario fondato nel 1941 dal cardinale Suhard, Arcivescovo di Parigi, uno dei rari prelati che osò sollevarsi contro la politica di collaborazione del Maresciallo Pétain con i Nazisti durante la guerra e contro la persecuzione degli Ebrei. I preti della Missione di Francia erano convinti che il servizio dei più poveri fosse il cammino necessario per un rinnovamento della Chiesa in Francia. Furono i primi preti operai, condannati da Pio XII prima di essere riabilitati da Giovanni XXIII; essi si impegnarono nel sostegno all’indipendenza dell’Algeria e nell’affermazione della Teologia della Liberazione. Due degli assistenti nazionali degli Scouts de France, Padre Alain Perrot e Padre Jean Debruyne, provenivano dalla Missione di Francia. Avrebbero profondamente segnato il Movimento Scout.
Era un’epoca di speranza intensa e di effervescenza intellettuale, leggevamo i libri fi Ivan Illic, gli scritti di padre Lebret sullo sviluppo e la giustizia sociale nel Terzo Mondo, la “Forza Storica dei poveri” di padre Gutteriez, l’iniziatore della Teologia della Liberazione. Eravamo appassionati dal Vaticano II; eravamo entusiasti adepti di Jean Vanier, un filosofo e teologo canadese creatore dell’ARCA, un Movimento radicale nel quele dei volontari, detti “assistenti”, s’impegnano a vivere a fianco di persone handicappate.
Jean Vanier a scritto: “la presenza di coloro che si sentono soli, emarginati, con il loro grido per l’amicizia, ci trasforma. Risvegliano l’amore e la nostra luce.”
Leggevamo dei libri di Paulo Freire: “Educazione, una pratica della libertà”, pubblicato nel 1967, poi “La Pedagogia degli Oppressi” pubblicata nel 1974. Molti di noi si impegnavano nell’Arca e anche nel Movimento Aiuto a Ogni Disagio-Quarto Mondo fondato nel 1957 da Padre Joseph Wresinski, che vuole “mettere fine all’estrema povertà associandovi le persone che la subiscono”.
Un buon numero di capi scout dell’Extension si impegnarono professionalmente in quello che si chiama in Francia l’Educazione Specializzata, e L’Istituto di formazione degli Educatori Specializzati di Strasburgo sarebbe diventato a sua volta un focolaio di riflessione sulla riforma pedagogica degli Scouts de France. Negli anni sessanta c’erano due sindacati nazionali per gli Educatori Specializzati, l’uno e l’altro erano animati da ex capi scout, provenienti il primo dagli Eclaireurs e Eclaireuses de France (=Guide e Esploratori di Francia) e l’altro dagli Scouts de France.
I nostri incontri di capi scout erano consacrati allo studio dell’enciclica Populorum Progressio, di Papa Paolo VI, pubblicata nel 1967, anno in cui gli Scouts de France organizzarono le loro giornate nazionali a Roma.
L’idea che ci animava era di lottare a fianco dei più poveri per ritrovare il soffio del Vangelo e cambiare il mondo. Non avevamo dubbi sul nostro successo.
Nel 1965 gli Scouts de France cambiavano in modo radicale il loro programma educativo con la scissione dell’ex branca Eclaireurs in due nuove branche, i Ranger e i Pionieri. Contemporaneamente le due branche adottarono quella che noi chiamavamo la “Pedagogia del progetto”, promossa dall’Extension, cioè l’abbandono del “mito del capo” a favore di una cooperazione adulti-giovani. Scoprivamo ciò che sarebbe stato più tardi chiamato “empowerment”, la responsabilizzazione dei giovani attraverso la loro partecipazione alla presa di decisioni.
Nel 1968, in tutto il mondo e particolarmente in Francia, vi fu una rivolta dei giovani contro il “disordine stabilito”, come si diceva allora. Questa rivolta avrebbe cambiato profondamente la società francese. Portò con sé, ahimè, più una liberalizzazione dei costumi e l’immersione nella “società dei consumi”, che una trasformazione radicale delle politiche.
In ogni caso, come tutta una generazione, questo movimento profondo della Chiesa e della società mi ha profondamente segnato. Gli devo il mio orientamento professionale e il mio impegno più profondo nello Scoutismo, l’aiuto ai più poveri e la cooperazione allo sviluppo.
Questo è quanto il termine accoglienza ha raccolto nella mia memoria.
Il concetto di servizio
Il termine “servizio” non ha permesso una “pesca” altrettanto rapida e fruttuosa nei miei ricordi. Bisogna dire che negli anni della mia gioventù il concetto di “servizio” era divenuto un po’ sospetto. Coloro che si impegnavano a fianco dei più poveri erano spesso incoraggiati ad abbandonare il riferimento allo “spirito di servizio”, concetto un po’ condiscendente, usato da persone che avevano un po’ la tendenza a “sporgersi verso i poveri”, per definizione situati in basso alla scala sociale. “Sporgersi verso” non è certamente una buona attitudine: “E’ pericoloso sporgersi” si poteva leggere, in gioventù, sotto i finestrini dei treni internazionali.
Il concetto di “servizio” era spesso associata a quella di “sacrificio “ personale. Era stato abbondantemente usato dagli Scouts de France negli anni quaranta, epoca in cui purtroppo il nostro Movimento era stato per lungo tempo più incline verso il Maresciallo Pétain che verso la Resistenza, contrariamente ai Eclaireurs et Eclaireuses de France, i nostri fratelli scout laici.
Personalmente, ho avuto bisogno di tutto un percorso per riprendere possesso del termine “servire” e attribuirgli tutto il suo senso, quello dell’impegno sociale. L’ho fatto quando mi sono trovato a più riprese a promuovere di nuovo la Route, la branca maggiore dello scoutismo, inizialmente dopo essere stato nominato Commissario Generale degli Scouts de France, nel 1977, poi nelle mie funzioni di Direttore delle Metodologie Educative al Bureau Mondiale dello Scoutismo negli anni 2000.
In Francia come in Italia le due lettere “RS” sono associate a “Rover Scout” o “Routier Scout” e a “Rendere Servizio”. La vocazione dello Scout e del Rover-Routier è di “rendere servizio”.
Molti di coloro che sono stati formati al servizio e all’impegno sociale dallo Scoutismo hanno un po’ la tendenza a giudicare lo Scoutismo con una certa condiscendenza una volta che hanno raggiunto uno degli apici dell’impegno civico e politico. Rimproverano a volte al Movimento di non impegnarsi abbastanza radicalmente nel dibattito socio-politico, di non fare “scelte sufficientemente decisive”. Dimenticano semplicemente che se lo scoutismo avesse fatto scelte altrettanto radicali ai tempi della loro gioventù, probabilmente non vi avrebbero aderito.
Non cadrò in questa falsa critica. Lo scoutismo non è un movimento politico, è un movimento educativo animato da valori spirituali e sociali. La sua missione è di “rastrellare largo”, cioè di rivolgersi all’insieme della popolazione e non solo a una certa “élite” già cosciente e politicizzata. E’ quindi necessario che poggi su dei concetti che beneficino di un largo consenso nella società per rivolgersi al più gran numero di persone e offrire loro un cammino personale di presa di coscienza.
Dall’infanzia all’età adulta, il mio itinerario personale, come quello di molti della mia generazione, potrebbe avere per titolo “dalla pratica della Buona Azione quotidiana “ all’impegno sociale e politico. La pratica dello Scoutismo mi ha portato a scoprire Paulo Freire e la “pedagogia degli oppressi” e questa scoperta mi ha permesso di rileggere Baden Powell con una comprensione più profonda. Arrivati alla fine di un itinerario personale, non si deve bruciare la nave che ci ha aiutato a attraversare, bisogna preservarla perché altri possano seguire lo stesso cammino.
Il concetto di servizio è nobile e generoso a condizione di associarlo al ragionamento critico. Ci aiuta a uscire dal nostro egoismo di piccoli borghesi installati nella parte più ricca del globo, ma non è sufficiente voler “servire”, bisogna anche interrogarsi sulle cause dei problemi al fine di essere capaci un giorno di trattare non solo i sintomi, ma anche le cause profonde.
I giovani volontari francesi che reclutavo negli anni 80, partivano a “servire” nei paesi del “terzo-mondo”. Erano animati dalla convinzione che avrebbero salvato gli africani dal sottosviluppo e dalla povertà. Tentavamo di prevenire la loro delusione alla conclusione dei due anni del loro impegno, incoraggiandoli a mettersi innanzitutto all’ascolto della gente che avrebbero affiancato e mostrando loro che la povertà dei contadini africani non era dovuta alla loro ignoranza o al loro ritardo tecnologico, ma allo sfruttamento di cui erano vittime.
Ciò non di meno, per fare questa scoperta, avevano bisogno di vivere prima un’esperienza personale di “servizio”. Era perché lo Scoutismo o altri movimenti giovanili avevano inculcato loro lo “spirito di servizio” che si erano impegnati nel volontariato dello sviluppo. Alla fine di questa esperienza, avrebbero potuto accedere a una presa di coscienza più profonda dell’impegno sociale, ma rischiavano anche di sfiorare questa comprensione e di ritornare a casa con un senso di fallimento perché il loro “spirito di servizio” non aveva incontrato un’eco favorevole. Toccava a noi prevenire questo scacco senza tuttavia rimettere in discussione il loro impegno iniziale.
Il servizio degli altri deve restare un elemento costitutivo dello Scoutismo e la branca maggiore deve aiutare i giovani a comprendere progressivamente questo concetto come un impegno sociale e politico per trasformare la società.
Come non ho mai smesso di affermare al Bureau Mondiale dello Scoutismo, la qualità di un’associazione scout non si misura dal numero dei giovani che raggiunge, ma dal numero dei giovani che la lasciano ogni anno, al termine della loro adolescenza, con la motivazione e le competenze per portare il loro contributo positivo alla società.
Ecco perché il dinamismo della branca maggiore è il migliore indicatore della qualità dello Scoutismo. Che continui a incarnare i valori dell’accoglienza e del servizio!
Vi ringrazio.
(trad. it. di A. Amaglio)
ABSTRACT / DOMINIQUE BENARD
L’attivismo educativo sfocia, come logica conseguenza nel fare e nello stare con gli altri, nell’accoglienza e nel servizio.
Dopo un excursus sul movimento sociale-politico e culturale pedagogico in Francia nel decennio 1960-1970 che ha portato lo Scautismo francese e, con modalità applicative e tempi diversi, tutto lo Scautismo del mondo occidentale (quindi anche quello italiano) alle scelte e all’impegno al servizio sociale ed educativo privilegiando le fasce più fragili, verranno presentate le iniziative di accoglienza e di servizio che hanno trovato la loro attuazione a livello mondiale.
Si parla di una nuova sensibilità al servizio di persone diversamente abili, di cooperazione giovani-adulti, di rinnovata spiritualità ed ecclesialità, di “mettere fine alle povertà estreme”, della “Populorum progressio”, di una nuova progettualità educativa a fronte delle contraddizioni della società dei consumi.
di Don Roberto Davanzo, 24 Ottobre 2015.
Direttore Caritas Ambrosiana
Il contesto in cui collochiamo questa riflessione è caratterizzato ...
a. ... dalla necessità di fronteggiare l’ondata migratoria che è davanti agli occhi di tutti e che ci chiede non solo di fornire ospitalità, ma anche di plasmare culturalmente. Il flusso migratorio verso l’Europa non si arresterà troppo facilmente, almeno fino a quando permarranno vergognose disparità economiche e insopportabili situazioni di conflitto nei Paesi africani e in Medio Oriente. Solo le avverse condizioni climatiche potranno – per qualche mese – limitare gli sbarchi sulle coste meridionali dell’Europa. Questa situazione interpella le comunità cristiane sia sul piano operativo che su quello culturale.
Sul piano della cultura illuminata dalla fede significa che a partire da questo fenomeno è quanto mai opportuno cogliere l’occasione per allargare i nostri orizzonti in modo da coltivare uno sguardo capace di inserire la storia di queste persone all’interno di una visione dove si integrano politica internazionale, economia, cooperazione. Non ci è lecito fermarci alla punta dell’iceberg (i profughi che arrivano e muoiono sui barconi o quelli che attraversano Grecia, Macedonia, Serbia, ...) senza interrogarci sui perchè. Tantomeno ci è lecito permettere che la nostra coscienza di credenti sia informata dalle predicazioni laiche tanto superficiali e banali quanto efficaci nel conquistare consenso popolare;
b. ... dal Giubileo della misericordia che inizierà il prossimo 5 dicembre e che Papa Francesco propone di vivere alla luce delle opere di misericordia che sono la traduzione del binomio “accoglienza e servizio” che dà il titolo a questa riflessione.
Il Dio misericordioso dell’AT (Es 34,6) chiede che si passi attraverso l’esercizio concreto della misericordia verso gli altri. Gesù, da parte sua, ha abbozzato quasi uno statuto sulle opere di misericordia dichiarando che l’aiuto prestato agli altri lo ritiene come fatto a se stesso. Sulla base di questo la Chiesa si è sempre impegnata nell’aiuto ai bisognosi.
L’elencazione precisa delle “opere di misericordia” che Gesù offre nel Vangelo la troviamo nel discorso escatologico di Mt 25, benchè egli stesso lungo tutto il suo ministero pubblico si è sempre interessato dell’uomo concreto, con tutte le necessità materiali e spirituali che lo accompagnano, spronando i suoi a fare altrettanto.
La riportiamo alla memoria e ne ricaviamo alcune brevi conclusioni:
• “Lo avete fatto a me”; il povero diventa il sacramento più certo dell’incontro con Gesù
• la cura del povero decide del destino ultimo di ogni uomo che si distingue tra chi ha prestato aiuto e chi no, tra chi ha accolto e chi ha respinto
• la possibilità di servire Gesù senza saperlo: il criterio per decidere quali collaborazioni realizzare nella cura dell’uomo ferito
• universalità dei “fratelli più piccoli”, senza limiti e barriere
c. ... dalla mia personale esperienza di sacerdote, di scout, di direttore di una Caritas diocesana. Se indubbiamente è l’esperienza di questi ultimi 11 anni (come Direttore di Caritas Ambrosiana) ad offrirmi i contenuti tecnico-culturali più specifici rispetto a quanto stiamo affermando, non ci sono dubbi che questo mio ultimo segmento esperienziale si sia appoggiato in particolare sulla pregressa vicenda che mi ha visto fare la promessa da lupetto nel 1967 e mi ha visto rimanere in Associazione – seppure con qualche black out motivato dagli anni del seminario – fino al 2000 quando ho concluso un mandato di 9 anni come AE regionale della Lombardia.
Non ci sono dubbi che la dimensione tecnico-culturale cui mi riferivo abbia come sfondo l’orizzonte valoriale messo a disposizione dalla pedagogia scout che gioca – tra gli altri - su due fulcri: la dimensione della fraternità universale (“siamo dello stesso sangue fratellino, tu ed io”) e quello del servizio come “strada verso il successo”.
La memoria, antidoto alla barbarie. Memoria come sostegno all’dentità che per noi affonda le sue radici:
- nella storia dell’antico Israele straniero e profugo
- nella vicenda di Gesù di Nazaret che si identifica con gli ultimi della terra
Dall’intervento di Dominique Benard
Cinque impegni per la branca r-s:
1. antidoto contro il consumismo per acquisire il gusto della essenzialità
2. competenze per la vita per una riuscita sociale e professionale
a. comunicazione interpersonale
b. spirito di squadra
c. affermazione di se senza violenza
d. resistenza alle pressioni
e. spirito critico
f. creatività
g. negoziazione per la soluzione dei conflitti
3. sviluppare atteggiamenti di rispetto dell’ambiente
4. comprensione interculturale e solidarietà contro nazionalismi e razzismi
5. progetti educativi per l’inserimento professionale dei giovani “neet”
Presso chiesetta di San Giovanni Battista e Carlo al Fopponino all’interno del comprensorio parrocchiale San Francesco d’Assisi al Fopponino, all’angolo tra p.le Aquileia e via San Michele del Carso, in Milano.
Tutti i dettagli storici, qui..
foto del comprensorio parrocchiale:
dettaglio faccaiata chiesa S.Francesco d'assisi;
Cappella del primo 600 dei SS. Giovanni e Carlo Fopponino
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